Enzo

 

Oggi, 4 aprile ricorre il 54° anniversario dell'assassinio di Martin Luter king, forse per me la prima testimonianza di lotta nonviolenta per la giustizia. Negli anni della scuola media ero molto recalcitrante alla lettura. Mia madre, insegnante di lettere, si disperava e lottava con la mia pigrizia, proponendomi sempre qualcosa da leggere... Cedetti e lessi finalmente quel libro di narrativa sul M.L. King che mi appassionò molto e penso segnò molto la mia formazione e gli ideali che ancora coltivo.

Grazie M.L. King e grazie mamma!

 

.....

Sebbene la violenza non sia lecita, quando essa viene usata per autodifesa o a protezione degli indifesi essa è un atto di coraggio, di gran lunga migliore della codarda sottomissione[1].

 

Anche se crediamo nella non-violenza, non sarebbe giusto che ci rifiutassimo, per codardia, di difendere i deboli[2].

 

Credo che nel caso in cui l’unica scelta possibile fosse quella tra la codardia e la violenza, io consiglierei la violenza

[1] Harijan, 27 ottobre 1946; cit. in G. Pontara, L’antibarbarie, op. cit., p. 84.

[2] Gandhi commenta la BhG, p. 40; poco dopo aggiunge: «Potrei essere disposto a prendere in braccio un serpente, ma se ne viene uno per mordervi, sarei obbligato ad ammazzarlo per difendervi».

 

Ricevo ieri una lettera da un amico che ha alcuni dubbi sulla guerra in Ucraina. Se sia giusto Vorrei riflettere un po’ a monte delle questioni e delle domande che ti poni, che anch’io mi sono posto e che in molti ci poniamo, da nonviolenti, di fronte a questa guerra.

 

E vorrei che insieme riconoscessimo, in questo come in altri momenti, che

alcune domande non hanno risposta (e alcune non hanno senso)

alcune domande non è lecito porle né a noi stessi né a chi vive un conflitto da aggredito

ad alcune domande non abbiamo informazioni e conoscenze generali (storiche, geografiche, sociologiche, ecc.) per rispondere

ad alcune domande non abbiamo la forza spirituale (la fede) per rispondere (COROLLARIO: le risposte di verità non possono fondarsi solo su conoscenze razionali. Esse per essere credibili devono discernere da un interrogativo intimo, da un’interrogazione della nostra coscienza)

ad alcune domande che ci chiedono aiuto non abbiamo la forza fisica e le risorse materiali per intervenire, ma avremo sempre forza e risorse per fare qualcosa.

 Tra le domande che non hanno risposta inserirei tutte quelle del tipo “che cosa avrebbe fatto o detto Gandhi in questa situazione?”. Gandhi come tutti i maestri dell’umanità (compreso Gesù) ci ha lasciato un percorso e una testimonianza, alla quale possiamo ispirarci nella nostra storia e nel nostro tempo. Spetta solamente a noi capire e fare ciò che è giusto fare. Gandhi è stato il primo a contestare il gandhismo rivendicando lui stesso il diritto alla non-coerenza con quanto da lui affermato precedentemente… Alcune cose dette da lui sono oggi superate. Tra queste per esempio frasi del tipo «la Palestina appartiene ai palestinesi come l’Inghilterra appartiene agli inglesi e la Francia appartiene ai francesi». Oggi nel contesto di globalizzazione e di migrazioni di popoli e nazioni da noi depredate che rivendicano il diritto di abitare e vivere costruttivamente in territori diversi da quelli di origine non mi sentirei di sottoscrivere perentoriamente che l’Italia appartiene agli italiani e così via…

 

 

Tra le domande che non è lecito porsi ce n’è una che anche i pacifisti non devono fare e cioè “è giusto che una persona o un gruppo aggredito si difenda con le armi?”. E non mi pare che il mondo dei pacifisti stia dando una risposta a questa domanda, alla quale peraltro come tu e altri ricordano, già Gandhi rispondeva ... Se non vedono altra soluzione, non solo hanno il diritto, ma il dovere di farlo.

Ma noi stiamo rispondendo ad un'altra domanda ossia: “è giusto che lo Stato Italiano invii armi all’Ucraina?” Qui da cittadini italiani abbiamo innanzi tutto il diritto di esprimere un’opinione (cosa che è messa quotidianamente in dubbio, su un piano politico e istituzionale come le censure della RAI confermano…). Da nonviolenti abbiamo, secondo me, il dovere di opporci con tutti i mezzi all’invio di armi, in base alle nostre conoscenze storico-politiche generali (che dimostrano che i conflitti armati difficilmente portano a situazioni durature e vantaggiose per gli aggrediti). Quindi - al di là di ciò che chiede Zelenski – in coscienza e per il bene del popolo Ucraino non dobbiamo inviare armi, attivando al contempo ogni azione alternativa a questa risposta. La carovana a Kiev di centinaia di associazioni e cittadini italiani che, non solo hanno portato aiuti e facilitato l’esodo di cittadini ucraini dalle zone di guerra, ma ha incontrato e ascoltato la società civile, mi pare si muova in questa direzione.

 

Ci si potrà dire “questa non è una soluzione alla violenza e alla guerra”. E si potrà rispondere: “neanche le armi agli ucraini sono una risposta alla violenza! Semplicemente la raddoppiano!. Dall’incontro con la popolazione può forse emergere la risposta che non abbiamo. Emergerà? Forse. Oggi non abbiamo elementi per dirlo. Ma abbiamo motivi per crederlo.

 

Riguardo alla conoscenza e al dovere di conoscenza del contesto ucraino rispetto al quale tu abbozzi qualche considerazione, sto trovano utile l’ebook I pacifisti e l’Ucraina Le alternative alla guerra in Europa, segnalato da Loredana qualche giorno fa nella nostra chat che comunque ti allego. Dal saggio di Donatella della Porta, per esempio, emerge che non è vero che il popolo ucraino sconosca la nonviolenza praticata con azioni di disobbedienza civile, sit-in e scioperi generali organizzati dal movimento di opposizione durante le proteste a Maidan del 2004 che hanno rappresentato il momento centrale della "Rivoluzione arancione".

 

Concludendo, il documento predisposto con  Maria Annibale e Cecilia è un piccolo contributo teorico, ma anche pragmatico per rispondere alla domanda fondamentale che alla fine ci poniamo tutti: che cosa possono fare i nonviolenti oggi di fronte alla guerra in Ucraina?

 

Mi pare che esso contenga delle risposte che ci fanno uscire anche dalle sacche dei tranelli della mente e di qualche malizioso militarista che ci domanda che cosa faremmo di fronte al bruto che violenta nostra madre o una fanciulla indifesa. Noi non siamo di fronte a questa situazione ma di fronte alla guerra in Ucraina … da Palermo. E su questo “qui ed ora” che dobbiamo dare una risposta pertinente.

 

Ti abbraccio

 

Enzo

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Arca delle Tre Finestre 
 
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Lettera n.9 - Dicembre 2014



Cari compagni e amici della Comunità dell’Arca,


La “Lettera dalle Tre Finestre” che vi inviamo ha una forma un po’ particolare. È una lettera a tre voci che riflettono vissuti e punti di vista sui quali noi stessi pensiamo dobbiamo ancora lavorare affinché si possa giungere ad una forma espressiva che tenga conto delle sensibilità di tutta la Fraternità.

I contributi riguardano un tema molto importante, forse uno snodo evolutivo della nostra piccola storia.

Ma procediamo con ordine:  Margalida Reus, della Comunità dell’Arca francese di Saint Antoine, attuale responsabile internazionale dell’Arca, dopo aver conosciuto e visitato per due volte la Casa dell’Arca e la Fraternità delle Tre Finestre ci ha chiesto se è nostra volontà, di aprirci ad un progetto di vita comunitaria.

Margalida ha posto questa domanda in primo luogo a Tito e Nella, lo scorso inverno.  Dopo un primo orientamento positivo da parte loro, il tema è stato posto a tutta la Fraternità e, durante l’incontro estivo di agosto, presente la responsabile internazionale e la responsabile italiana, anche ai compagni e agli amici che hanno partecipato all’incontro estivo del 2014 a Belpasso.

Si è aperta così una stagione particolare della nostra storia, molto intensa e articolata nelle riflessioni, nei vissuti, a volte anche sofferti, di ciascuno di noi.

Stupore, gioia e sofferenza si sono mescolati nei nostri cuori. Abbiamo forse compreso sulla nostra pelle cosa significhi sofferenza e gioia l’una nell’altra.

La Comunità resta per noi e per l’attuale modo di organizzazione sociale una svolta radicale. Una svolta che porta a trasformarci dentro prima ancora che nell’organizzazione del nostro vivere sociale. Più questa novità si avvicina, diventa concreta, esce fuori dall’aurea dell’ideologia e del sogno, più può farti paura, più può scoprire qualche ferita antica.

Ecco il senso del termine sofferenza, che forse non sarà comprensibile a tutti. Ma nonostante questo passaggio, siamo qui a parlarne con tutti voi, per ricevere magari qualche consiglio o un semplice affettuoso sostegno silenzioso, quale è stato quello di molti in questi anni nei confronti della Fraternità, spesso più prezioso di ogni parola.

Trovare le parole, e quelle giuste è altrettanto importante per farle sedimentare nei nostri cuori, per trovare quelle vere ed essenziali, per sfrondare i nostri pensieri da ogni contaminazione derivante dalla paura e dai nostri egoismi.

Per questo la Fraternità ha deciso di dedicare al tema della Comunità tutti gli incontri di formazione del 2014/2015. In questo sarà aiutata da Frédéric che sarà con noi già dal mese di gennaio.

Per questo Enzo, Maria e Nella sono riusciti a mettere per iscritto un loro primo pensiero e vogliono condividerlo con voi con questa lettera. Altri della Fraternità lo hanno già fatto negli incontri di condivisione, ma sentiamo che tutto è in evoluzione. Ci siamo dati un tempo per riflettere e crescere, invocando per questo l’aiuto dello Spirito.

Vi giungano con l’occasione i nostri più affettuosi auguri per un Santo Natale e un nuovo anno, auguri pieni di gratitudine per l’amicizia che ci avete donato e che ci ha accompagnati fino a questi giorni.


La Fraternità delle Tre Finestre


In questi undici anni  si è lavorato sodo alle Tre finestre, ristrutturazioni, lavoro della terra, potatura dei vecchi ulivi e impianto dei nuovi, impianto  fotovoltaico,  progetto di agricoltura e fattoria sociale … Non sempre mi è stato chiaro il senso di tutto questo lavoro,  ma capivo che era la cosa giusta da fare e per questo ho lavorato e lottato, soprattutto dentro di me. Ora cominciano ad essermi più chiari questi anni e con essi tutta la fatica e l’amore che ci abbiamo messo. Ognuno di noi a modo suo ci ha investito un pezzo della sua vita per preparare un posto, “ uno spazio” perché la vita comunitaria potesse nascervi.

Era già  nell’aria che alle Tre finestre si era giunti ad una svolta, e la proposta di Margalida, responsabile internazionale dell’Arca, di aprirci ad un progetto di vita comunitaria non è stata altro che evidenziare quelle gemme che erano lì, ma non avevano il coraggio di aprirsi.  Troppe paure e troppi dubbi o solo forse ormai una bella idea da tenere nel cassetto.

Nell’ultima lettera questo ve lo avevamo solo accennato, ora siamo in cammino, ci daremo un tempo ancora di riflessione-discernimento ed azione per perlustrare le eventuali varie possibilità giuridiche per la sua regolamentazione dal punto di vista di una proprietà condivisa, insieme ad una prima sperimentazione in sito con il probabile arrivo di Doro, postulante di Saint’Antoine, che è già stata da noi alcuni mesi nella scorsa primavera e Manfredi, Fabiola e Viola dalla prossima estate. Inoltre si è costituito, per la durata di un  anno, con l’apporto di alcuni impegnati ed alcuni amici “un fondo di solidarietà” per il sostegno anche economico di questo percorso. Anche L’Arca internazionale lo sosterrà  attraverso il finanziamento di un piccolo progetto, che andrà  nella direzione di una migliore organizzazione degli spazi per l’accoglienza.

In quest’ultimo periodo ci siamo incontrati le coppie Sanfilippo e Cacciola, comproprietarie delle Tre Finestre, per un momento di discernimento. Non nascondiamo le tante paure e i tanti  dubbi che ci hanno attraversato e ci attraversano e gli incubi che animano i nostri sonni. Ma il nostro guardarci negli occhi è stato limpido e pulito, il nostro incontro è stato affettuoso, premuroso, rispettoso dell’altro come sempre in questi anni di grazia e di amicizia. Il punto fermo è la fiducia completa che c’è sempre stata tra di noi in questi anni e la speranza non ci manca. Sappiamo di essere sulla stessa barca, ma nonostante i possibili  momenti di crisi che pure ci hanno attraversato e ci attraversano, questa barca vorremmo farla partire. Vorremmo togliere gli ormeggi pesanti della ” proprietà “ che la tiene legata al porticciolo e lasciarla andare, con l’aiuto di Dio.

 Abbiamo sfidato i benpensanti che ci prevedevano catastrofi quando abbiamo acquistato in proprietà indivisa le Tre finestre.  Ora sentiamo che è arrivato il momento di pensare ad una cosa nuova e di avere fede.

 Credere come abbiamo sempre sperato che un mondo diverso è possibile e che questo dipende anche da noi. Quest’estate, i primi di agosto, durante l’incontro con  Margalida imperversavano le bombe su Gaza e io dissi che mi sentivo impotente davanti a tanto male. Ma se il mio dire si al progetto comunitario dell’Arca poteva significare una infinitesima possibilità per costruire un altro mondo possibile il mio impegno c’era, potevo dire il mio si. Allora Margalida ci raccontò la storia del colibrì che mi piacque molto e vi riporto in sintesi: Era scoppiato un incendio nella foresta e tutti gli animali fuggivano via solo un piccolo colibrì andava al fiume a prendere nel suo becco una goccia d’acqua e tornava a spegnere l’incendio. Gli altri animali vedendo l’agire del colibrì lo interrogarono su ciò che stesse facendo e il colibrì rispose “faccio la mia parte”.

Ma da soli non possiamo farcela, abbiamo bisogno di tutti voi e della misericordia di Dio. La ricerca della giustizia sulla terra  è agire facendo come farebbe Dio. Convertire il nostro sguardo sulle cose, che sono solo strumento della costruzione di qualcosa che verrà. Guardare la realtà con gli occhi di Dio cercando di cogliere la chiamata del nostro tempo. Nella nostra  terra,  la Sicilia, il  problema veramente grave a mio avviso non è tanto la mafiosità ma l’omertà, il non fare la propria parte.

Quest’estate ho letto i “Viceré”  di De Roberto, un libro veramente sconvolgente che racconta la storia degli Uzeda, nobile famiglia siciliana,  catanese, di origine spagnola, dove tutto  viene  sacrificato in nome della “roba “. Non c’è posto in questa famiglia per gli affetti, per l’amore, per la vita familiare, sociale e politica, tutto, proprio tutto viene fatto per l’accaparramento indiscriminato  dell’eredità, della espansione della roba, nella menzogna e nell’inganno, a costo di distruggere la vita di tutti. Una vita che si chiude, quella del Principe protagonista della storia, nella solitudine, consapevole dell’odio di suo figlio ed erede che sperpererà senza ritegno tutto quello che il Principe, ha, con cento indegni sotterfugi, accumulato senza pietà.

Un detto rabbinico dice: cosa deve fare un uomo per vivere? Uccidere se stesso. E per morire? vivere per se stesso.

Ricordo il giorno che dal notaio abbiamo sottoscritto l’atto di compravendita delle Tre finestre. Eravamo in parecchi, noi acquistavamo dagli eredi di due famiglie, otto fratelli di una famiglia e tre di un’altra. L’età media era di ottanta anni, erano tutti anziani con una punta di novantadue anni. Noi due coppie di amici, loro tutti fratelli di sangue. Due di questi fratelli ultraottantenni restarono in piedi per tutto il tempo dell’atto, più di tre ore, non si parlavano più da decenni ed avevano giurato che mai più si sarebbero seduti l’uno acanto all’altro. Il podere delle Tre finestre era abbandonato da diverso tempo, le case  erano diventati dei ruderi e il terreno una foresta impenetrabile. Tutto era andato in malora perché non c’era accordo sulla roba, sull’eredità.

Perché abbiamo acquistato le Tre finestre nel 2003 lo abbiamo sempre affermato, e Tito dal notaio il giorno della compravendita lo ricordò a tutti noi indossando la croce dell’Arca,  non erano solo per noi. Non sapevamo ancora dove ci avrebbe portato la vita ma la direzione la conoscevamo bene. Siamo ad un nuovo bivio, speriamo di avere la forza e la gioia di fare la nostra parte nella consapevolezza che c’è un tempo per ogni cosa e non sempre possiamo capire tutto come ci ricorda il libro del Qoelet   “ Per ogni cosa c’è il suo tempo, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo … C’è un tempo per nascere ed un tempo per morire, un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante … un tempo per cercare e un tempo per perdere … Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica? Ho considerato l’occupazione che Dio ha dato agli uomini, perché si occupino di essa. Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell’eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l’opera compiuta da Dio dal principio alla fine. “

Vorrei, infine, concludere condividendo con tutti voi uno spunto interessante, offertoci dall’ articolo dalla teologa Stella Morra sulla questione dell’essere padroni o amministratori su questa terra, pubblicato  nel numero di giugno della rivista Mosaico di pace, dell’associazione Pax Cristi. Qui affronta il tema commentando le parabole del vangelo su questo argomento ed infine conclude con una citazione tratta dal libro di Karen Blixten “ il pranzo di Babette” da cui è stato tratto un famoso film. Nell’intera storia si possono riconoscere i due atteggiamenti, di chi si sente padrone del bene e del giusto, ed isterilisce nella tristezza e dell’artista Babette che amministra l’unica ricchezza che ha perché il bello e l’arte (della cucina in questo caso) siano di tutti …  Alla fine della cena, vera opera d’arte, il Generale, ospite d’onore, pronuncia questo breve discorso: “Misericordia e verità si sono incontrate, amici miei! Rettitudine e felicità debbono baciarsi! Nella nostra umana debolezza e miopia crediamo di dover scegliere la nostra strada e tremiamo per il rischio che quindi corriamo. Abbiamo … paura! Ma no, la nostra scelta non è importante. Viene il giorno in cui apriamo i nostri gli occhi e vediamo e capiamo che la grazia di Dio è infinita: dobbiamo solo attenderla con fiducia ed accoglierla con riconoscenza. Dio non pone condizioni. Non preferisce uno di noi piuttosto che un altro. Ciò che abbiamo scelto ci viene donato e, allo stesso tempo, ciò che abbiamo rifiutato ci viene accordato. Perché misericordia e verità si sono incontrate, rettitudine e felicità si sono baciate”.

In questo momento di vigilia di Natale sento la trepidazione dell’attesa per ciò che sarà e se anche potessimo dire di non aspettare  nessuno, Lui verrà.


Maria



Difficile è

esprimere e dire

quello che

singolarmente e intimamente

proviamo e sperimentiamo

in questo periodo.

Periodo di trasformazione

di discernimento

di maturazione 

di avvento.

Tante sono le esperienze 

che abbiamo maturato

in questi undici anni

Tanti i momenti difficili,

complicati,

ma anche gioiosi,

di speranza, 

di comunione.

Adesso la parola

comunità

si è materializzata nei nostri discorsi.

E questo ci ha

meravigliati, impauriti, confusi, ammaliati.

Niente di certo si può dire 

perché niente di certo si sa.

Doro, cara amica,

forse verrà.

Manfredi e Fabiola

a S.Antoine

pensano il loro prossimo futuro

insieme a Viola

alle Tre Finestre.

Loredana e Pietro

cari e affidabili

come sempre

camminano 

con un si più pieno insieme a noi.

Annibale e Cecilia,

ancora più prossimi

al nostro cuore,

al nostro sentire.

Angelo

vive con tristezza

il doloroso calvario della malattia della madre,

sempre forte, sempre generoso.

La fraternità nel suo complesso

è consapevole di questo momento

complicato. 

Ora stride, ora smussa angoli,

a volte lucida qualche pezzo d'argenteria,

fa due passi  avanti e uno indietro,

inciampa, cade, 

ma

"Il Signore sostiene quelli che vacillano

e rialza chiunque è caduto".

Vi auguriamo un Natale

ricco di speranza.


  Nella


  Già lo scorso inverno la proposta di Margalida,  di aprire alla vita comunitaria le Tre Finestre, ha risvegliato in me qualcosa  che era rimasto sopito per molti anni.

L’idea di vivere in comunità aveva attraversato me e Maria molti anni fa, prima ancora che conoscessimo Tito e Nella, prima di abitare nella casa dove oggi viviamo a Palermo. A ripercorrerla, dopo più di vent’anni anni, quell’idea mi sembra niente altro che un sogno giovanile, svanito dopo qualche timido tentativo di individuare, con due nostre amiche, un posto dove quel desiderio avrebbe potuto realizzarsi.

Ben presto infatti capimmo che nessuno del gruppo era disposto a compromettersi concretamente in quel progetto.

Negli stessi anni conoscemmo l’Arca partecipando ai campi nelle due comunità italiane. Qualcuno scherzando, diceva che le nostre visite portavamo sfortuna, poiché le comunità si chiudevano poco dopo il nostro passaggio!

Ma nonostante la conclusione delle esperienze comunitarie italiane,  l’Arca continuava ad attrarci ed era entrata in qualche modo nella nostra vita. Seguitammo e andammo a conoscere le comunità francesi, in particolare quella della Fleyssière dove abbiamo conosciuto la famiglia Cacciola di Catania. In quella occasione, era presente anche Angelo, che oggi assieme a Laura Pietro e Loredana, fa parte della Fraternità. Pronunziammo per la volta la nostra promessa come alleati dell’Arca nel 96 a Mantova, ospiti della comunità di Alberto e Susi, comunità, manco a dirlo, già in crisi e chiusa definitivamente dopo poco tempo.

Nel ‘98 accettammo l’invito di Giampiero e Patrizia Zendali, ai quali non finiremo mai di essere grati per aver tenuta viva la fiaccola dell’insegnamento dell’Arca in anni molto difficili, a prendere parte ad un campo itinerante tra le comunità francesi. Ricordiamo ancora un partecipante a quel viaggio di gruppo che non rinunciava mai a chiedere ai francesi, incontro dopo incontro: «Perché si è chiusa la comunità di Bonnecombe?»

Il resto della storia è comune: i cinque anni in cui Tito e Nella si insediarono e abitarono presso il monastero di Mater Adonai a di Brucoli, il consolidamento della nostra amicizia e poi l’acquisto, in proprietà indivisa, delle Tre Finestre. 


Mentre scrivevo questo documento ho avuto modo di vedere in televisione lo spettacolo di Roberto Benigni sui dieci comandamenti. Mi ha molto colpito all’inizio una sua riflessione sulla creazione e su quel fermarsi di Dio dopo ogni giorno: Dio vide che era cosa buona .

È un guardare alla propria creazione con soddisfazione, al quale Dio, sottolinea l’attore, aggiunge un invito all’uomo a completare l’opera allo stesso modo, cioè fermandosi di tanto in tanto per vedere se ciò che si è fatto è cosa buona.

È stato un po’ inevitabile il riferimento alla fase che stiamo attraversando con i compagni della Fraternità, fase in cui in cui ci interroghiamo ogni giorno per capire se la proposta di Margalida sia realmente  il passo successivo da fare. Poi mi sono chiesto se l’accostamento non fosse un po’ azzardato. Alla fine mi sono persuaso che Benigni avesse ragione.

Aggiungerei, per non montarsi troppo la testa,  che in tutto questo ragionamento va rifatto alla luce dell’azione dello Spirito. Siamo chiamati a scorgerlo nella nostra storia passata, a sentirlo nei segni della vita presente, a invocarlo per il futuro. Non siamo noi i creatori assoluti ma siamo comunque chiamati a collaborare con lo Spirito Creatore.

Sotto questa luce l’invito di Benigni non solo non è banale, ma ci chiama ad una responsabilità, quella di comprendere se ciò che facciamo e abbiamo fatto, facciamo e faremo sia cosa buona e giusta. Da un punto di vista religioso-cattolico siamo troppo abituati a pensare a ciò che abbiamo fatto di sbagliato e di cui dobbiamo chiedere perdono a Dio. Elemento questo fondamentale. Ma dobbiamo altrettanto soffermarci sugli aspetti positivi della nostra storia, sui doni che abbiamo ricevuto, e sulla valorizzazione che siamo stati capaci di operare. Non quindi con compiacimento, ma con gratitudine.

Penso che abbiamo una grande opportunità: innestare uno sviluppo comunitario su una fraternità che ha lavorato da tanto tempo in riferimento a un luogo e costruendo relazioni di amicizia. Non sempre le comunità nascono così.

Ho provato quindi a dare un contributo pensando alla storia delle Tre Finestre.

Ne è venuto fuori un testo forse un po’ lungo, che ho consegnato a Franz per il prossimo numero di Arca Notizie, al quale rimando.

 Sento, per i tanti dubbi e paure che ancora ci attraversano, che forse siamo chiamati a qualcosa che è più grande di noi.

Sarà necessario e anche bello darci un tempo di discernimento e di condivisione di tutte le paure che ci attraversano. Ci siamo dati un orientamento iniziale e un ulteriore  tempo di sperimentazione che avrà il suo primo banco di prova con l’insediamento di Manfredi, Fabiola e Viola alle Tre Finestre.

L’invito, in primo luogo a me stesso, poi alla Fraternità e a tutti gli amici che ci sono stati vicini in questi anni, è quello di proseguire in questo spirito di accoglienza del bene che ha attraversato e attraversa la nostra storia.


    Enzo